Bonus energia/gas naturale: pronti i codici tributo


Pubblicati i codici tributo per le aziende a forte consumo di energia elettrica e gas naturale e per le imprese diverse da quelle a forte consumo che intendono usufruire dei contributi straordinari previsti dai decreti “Energia” (D.L. n. 17/2022 e D.L. n. 21/2022). Con la risoluzione n. 18/E del 14 aprile 2022, l’Agenzia delle entrate ha infatti istituiti i codici che possono essere utilizzati dalle aziende in possesso dei requisiti per accedere all’agevolazione, finalizzata a garantire una parziale compensazione degli extra costi sostenuti l’acquisto di energia e gas.

In particolare, a favore delle imprese a forte consumo di energia elettrica è previsto un contributo straordinario sotto forma di credito di imposta pari al 25% delle spese sostenute per la componente energetica acquistata ed effettivamente utilizzata nel secondo trimestre 2022 (art. 4, D.L. n. 17/2022).
Per le imprese a forte consumo di gas naturale, invece, il contributo è pari al 20% della spesa sostenuta per l’acquisto del gas consumato nel secondo trimestre solare dell’anno 2022 (art. 5, D.L. n. 17/2022).
Rientrano nelle agevolazioni anche le imprese diverse da quelle a forte consumo di energia e gas, per le quali il bonus è pari al 12% e al 20% rispettivamente (artt. 3 e 4, D.L. n. 21/2022).
I crediti d’imposta, in base alle condizioni indicate nelle rispettive discipline, sono utilizzati in compensazione mediante modello F24 oppure ceduti solo per intero a terzi, entro il 31 dicembre 2022.
I codici tributo da indicare nell’F24, che va presentato esclusivamente attraverso i servizi telematici messi a disposizione dall’Agenzia delle Entrate, sono:
– “6961” – credito d’imposta a favore delle imprese energivore (secondo trimestre 2022);
– “6962” – credito d’imposta a favore delle imprese a forte consumo gas naturale (secondo trimestre 2022);
– “6963” – credito d’imposta a favore delle imprese non energivore (secondo trimestre 2022);
– “6964” – credito d’imposta a favore delle imprese diverse da quelle a forte consumo gas naturale (secondo trimestre 2022).
In sede di compilazione del modello F24, i suddetti codici tributo sono esposti nella sezione “Erario”, nella colonna “importi a credito compensati”, ovvero, nei casi in cui il contribuente debba procedere al riversamento dell’agevolazione, nella colonna “importi a debito versati”. Nel campo “anno di riferimento” è indicato l’anno di sostenimento della spesa, nel formato “AAAA”.
Il termine del 31 dicembre 2022 si applica anche al credito d’imposta per le imprese energivore previsto dal decreto Sostegni-ter (Dl n. 4/2022) per la fruizione del quale è già stato istituito il codice tributo “6960” (risoluzione n. 13/E del 21 marzo 2022).


Investimenti sostenibili 4.0: termini e modalità per la presentazione delle istanze


A partire dal 18 maggio le micro, piccole e medie imprese italiane potranno richiedere incentivi per realizzare investimenti innovativi legati a tecnologie 4.0, economia circolare e risparmio energetico, al fine di favorire la trasformazione digitale e sostenibile di attività manifatturiere. (MISE – DM 12 aprile 2022)

La misura agevolativa dispone di circa 678 milioni di euro di finanziamenti garantiti dal programma d’investimento europeo React-Eu e dai fondi di coesione. L’ammodernamento tecnologico delle imprese italiane viene sostenuto attraverso investimenti in progetti innovativi destinati a migliorare la sostenibilità energetica dei processi produttivi.
Di fronte al tema degli approvvigionamenti di materie prime, conseguenza della pandemia e del conflitto in Ucraina, è diventato prioritario accelerare l’utilizzo di nuove capacità tecnologie in grado di aumentare il livello di efficientamento e risparmio energetico per ridurre il costo delle bollette, continuando così a garantire la competitività e la crescita economica del Paese.
I finanziamenti sono destinati per circa 250 milioni agli investimenti da realizzare nelle regioni del Centro – Nord (Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Lombardia, Marche, Piemonte, Toscana, Valle d’Aosta, Veneto, Umbria e Province Autonome di Bolzano e di Trento), mentre circa 428 milioni sono previsti per quelli nelle regioni del Mezzogiorno (Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sicilia e Sardegna).
Di queste risorse, una quota pari al 25% è destinata ai progetti proposti dalle micro e piccole imprese.
Le imprese che richiederanno l’agevolazione non devono aver effettuato, nei due anni precedenti la presentazione della domanda, una delocalizzazione verso l’unità produttiva oggetto dell’investimento e dovranno impegnarsi a non farlo anche fino ai due anni successivi al completamento dell’investimento stesso. La procedura prevede inoltre per le PMI una prima fase dedicata alla compilazione della documentazione necessaria ai fini della richiesta dell’incentivo che verrà avviata il prossimo 4 maggio.
Gli sportelli online verranno gestiti da Invitalia per conto del Ministero dello sviluppo economico.

Rifiuto istanza rimborso di credito Iva


In caso di compensazione mediante F24 di debiti Inps con credito Iva, il disconoscimento dell’operazione da parte dell’Inps per una errata compilazione del modello di pagamento non pregiudica l’effetto estintivo del credito e pertanto non può essere presentata istanza di rimborso del medesimo credito all’Agenzia delle Entrate (Corte di Cassazione – sentenza 11 aprile 2022, n. 11700).

A fronte di un credito Iva maturato in un determinato periodo d’imposta il contribuente, se non porta l’eccedenza alla successiva annualità, può:


– chiedere il rimborso del credito;


– portare l’eccedenza in compensazione con altri debiti.


Tra le due opzioni sussiste un rapporto di alternatività: la scelta, che va operata con la dichiarazione dei redditi, per l’una o l’altra forma di soddisfazione del credito, comporta che resta preclusa la possibilità di accedere all’altra modalità.


L’operatività del principio di alternatività tra rimborso e compensazione trova altresì conferma nella stessa possibilità attribuita al contribuente di integrare la dichiarazione dei redditi per modificare l’originaria richiesta di rimborso, optando per la compensazione del credito, mediante dichiarazione integrativa da presentare entro un determinato termine dalla scadenza di quello ordinario.


Ove, poi, sia stata scelta l’opzione della compensazione, la stessa va esercitata, ai sensi dell’art. 17, D.Lgs. n. 241/1997, entro la data di presentazione della dichiarazione successiva.


In relazione al caso di specie, dal suddetto quadro normativo emerge che già nel momento dell’esercizio dell’opzione di compensazione da parte del contribuente si determina, verso l’Agenzia delle entrate, l’effetto estintivo del credito Iva per esser stato questo, con esplicita dichiarazione di volontà, destinato al pagamento di un altro debito, neppure essendo una tale scelta, per le ragioni su evidenziate, revocabile.


L’effettivo pagamento all’INPS, poi, evidenzia la definitiva riprova dell’estinzione del credito d’imposta con riguardo al versante dell’Ufficio.


Quanto al diverso versante relativo al debito che, per effetto della compensazione, era destinato ad essere estinto, va precisato che si tratta di profilo ulteriore e del tutto differente rispetto al credito Iva e al rapporto con l’ente impositivo.


Invero, va tenuta distinta l’ipotesi in cui il versamento non sia stato effettuato dall’Amministrazione finanziaria, che, dunque, permane debitrice, da quella in cui, invece, sul versamento in compensazione si incentrino le contestazioni dell’ente destinatario sulla soddisfazione dell’operazione stessa (nella specie, per il corretto impiego, sul piano formale, del modello F24 rispetto alla pretesa INPS), che attiene al distinto rapporto tra il contribuente e l’ente terzo, al quale è estraneo il Fisco.


Nel caso concreto, in realtà, non è neppure in dubbio che il versamento sia stato effettivamente operato a favore dell’INPS che ha solamente contestato, per ragioni formali, la mera congruenza della compensazione e l’idoneità del versamento a estinguere il debito previdenziale, la cui pretesa, quindi, è stata nuovamente avanzata, ottenendone il pagamento.


In altri termini, l’INPS risulta aver ricevuto un duplice versamento: il primo, operato a seguito dell’esercizio dell’opzione di compensazione e la cui corretta riferibilità ai debiti esistenti era carente, quanto ai modelli F24, di una indicazione formale; il secondo in quanto effettuato successivamente a seguito della asserita insoddisfazione del debito contributivo.


Ne deriva che, nella vicenda in esame, da un lato, l’opzione per la compensazione era stata ritualmente esercitata, con una specifica dichiarazione di volontà da parte del contribuente, ed aveva determinato l’effetto estintivo del credito, mentre, dall’altro, il dedotto errore investiva non l’esistenza del versamento a favore dell’INPS ma l’effetto che l’ente riconosceva al suddetto versamento, sicché non appare neppure ipotizzabile che il fatto, estraneo all’Amministrazione finanziaria, successivo all’effettivo esercizio della compensazione e, in sostanza, relativo alla rituale e corretta imputazione del pagamento ai debiti previdenziali, sia rilevante come presupposto per l’insorgere di una nuova richiesta di rimborso.


Solamente nel caso in cui il versamento in compensazione fosse stato non solo disconosciuto quanto agli effetti estintivi del debito previdenziale ma anche rifiutato, con restituzione all’Agenzia delle entrate delle somme così erogate, ne sarebbe potuto derivare, correlativamente, l’insorgenza a favore della contribuente di un credito verso il Fisco.


Credito per il reintegro delle anticipazioni del fondo pensione


Forniti chiarimenti sulla valutazione della spettanza del credito per il reintegro delle anticipazioni del fondo pensione maturate prima del 1° gennaio 2007, di cui all’art. 11, co. 8, D.Lgs. n. 252/2005 (Agenzia delle entrate – Risposta 14 aprile 2022, n. 193).

L’articolo 11, comma 7, del decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252, prevede che gli aderenti alle forme pensionistiche complementari possono richiedere, per determinate esigenze e a determinate condizioni, un’anticipazione della posizione individuale maturata.
Il successivo comma 8 stabilisce che «Le somme percepite a titolo di anticipazione non possono mai eccedere, complessivamente, il 75 per cento del totale dei versamenti, comprese le quote del TFR, maggiorati delle plusvalenze tempo per tempo realizzate, effettuati alle forme pensionistiche complementari a decorrere dal primo momento di iscrizione alle predette forme. Le anticipazioni possono essere reintegrate, a scelta dell’aderente, in qualsiasi momento anche mediante contribuzioni annuali eccedenti il limite di 5.164,57 euro. Sulle somme eccedenti il predetto limite, corrispondenti alle anticipazioni reintegrate, è riconosciuto al contribuente un credito d’imposta pari all’imposta pagata al momento della fruizione dell’anticipazione, proporzionalmente riferibile all’importo reintegrato».
La circolare 18 dicembre 2017, n. 70/E ha chiarito che la norma in esame fa riferimento alle sole anticipazioni erogate a partire dal 1° gennaio 2007 ed ai montanti maturati a decorrere dalla predetta data, al fine di agevolare coloro che decidono di reintegrare, in un’unica soluzione o mediante contribuzioni periodiche, la propria posizione presso il fondo pensione di appartenenza.
In caso di contribuzioni eccedenti il massimale di deducibilità (5.164,57 euro) è, inoltre, necessaria un’espressa dichiarazione da rendere al fondo da parte dell’aderente, con la quale lo stesso disponga se e per quale somma la contribuzione debba intendersi come reintegro. Questo in quanto il versamento contributivo in parola ha lo scopo di ripristinare la posizione contributiva esistente alla data dell’anticipazione e, poiché la posizione individuale è genericamente composta da contributi dedotti, contributi non dedotti e rendimenti già tassati, le somme versate a titolo di reintegro dovranno essere imputate pro quota alle diverse componenti, come determinate in sede di erogazione della anticipazione.
Tale comunicazione deve essere resa entro il termine di presentazione della dichiarazione dei redditi relativa all’anno in cui è effettuato il reintegro stesso.
La medesima circolare 70/E specifica, altresì, che il credito d’imposta in esame è riconosciuto solo sulle somme qualificate come reintegri e può essere utilizzato in compensazione, tramite modello F24, o in diminuzione dell’Irpef risultante dalla dichiarazione dei redditi, come indicato nelle istruzioni per la compilazione del modello Redditi Persone fisiche.
Nel caso di anticipazioni costituite interamente da somme già maturate alla data del 31 dicembre 2000, l’Agenzia conferma che per gli eventuali versamenti a titolo di reintegro delle predette anticipazioni non spetta il credito d’imposta previsto dal citato articolo 11 del decreto legislativo n. 252 del 2005.
La locuzione “montanti maturati alla predetta data” riportata nella circolare del 25 giugno 2021, n. 7/E è da considerarsi, pertanto, un mero refuso.
Fa presente, peraltro, che anche nelle istruzioni alla compilazione del modello 730/2022, relativamente al Rigo G3, e del modello Redditi PF 2021, relativamente al Rigo CR12, è precisato che “L’aderente deve rendere un’espressa dichiarazione al fondo con la quale dispone se e per quale somma la contribuzione debba intendersi come reintegro. Tale comunicazione deve essere resa entro il termine di presentazione della dichiarazione dei redditi relativa all’anno in cui è effettuato il reintegro. Il credito d’imposta spetta solo con riferimento alle somme qualificate come reintegro nel senso sopra descritto.”.


 

Attività sportive dilettantistiche: regime agevolato


Definiti i requisiti soggettivi ai fini della qualificazione come redditi diversi delle indennità di trasferta, dei rimborsi forfetari di spesa, dei premi e dei compensi erogati ai collaboratori sportivi nell’esercizio diretto di attività sportive dilettantistiche (Agenzia delle entrate – risposta 13 aprile 2022, n. 190)

L’art. 67, co. 1, lett. m), del tuir, stabilisce che rientrano tra i redditi diversi anche le indennità di trasferta, i rimborsi forfetari di spesa, i premi e i compensi erogati «nell’esercizio diretto di attività sportive dilettantistiche dal CONI, dalla società Sport e salute Spa, dalle Federazioni sportive nazionali, dall’Unione Nazionale per l’Incremento delle Razze Equine (UNIRE), dagli enti di promozione sportiva, dagli enti VSS (Verband der Südtiroler Sportvereine – Federazione delle associazioni sportive della Provincia autonoma di Bolzano) e USSA (Unione delle società sportive altoatesine) operanti prevalentemente nella provincia autonoma di Bolzano e da qualunque organismo, comunque denominato, che persegua finalità sportive dilettantistiche e che da essi sia riconosciuto. Tale disposizione si applica anche ai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa di carattere amministrativo gestionale di natura non professionale resi in favore di società e associazioni sportive dilettantistiche».
Sono redditi diversi se non costituiscono redditi di capitale ovvero se non sono conseguiti nell’esercizio di arti e professioni o di imprese commerciali o da società in nome collettivo e in accomandita semplice, né in relazione alla qualità di lavoratore dipendente, le prestazioni in parola devono essere effettuate senza vincolo di subordinazione tra società/associazione e collaboratore nonché essere prive del carattere di professionalità, caratteristiche che le farebbero ricondurre, rispettivamente, al rapporto di lavoro dipendente ed all’esercizio di arti e professioni esclusi, per espressa previsione normativa, dall’applicazione del medesimo articolo 67.
A tali compensi si applica il regime agevolativo recato dall’articolo 69, comma 2, del medesimo TUIR ai sensi del quale «Le indennità, i rimborsi forfettari, i premi e i compensi di cui alla lettera m) del comma 1 dell’articolo 67 non concorrono a formare il reddito per un importo non superiore complessivamente nel periodo d’imposta a 10.000 euro».
In applicazione delle predette disposizioni, sui redditi fino a 10.000 euro gli sportivi dilettanti non sono tenuti a pagare l’imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) e non hanno l’obbligo di presentare la dichiarazione dei redditi.
Sui redditi superiori a 10.000 euro e fino a 30.658,28 euro viene applicata una ritenuta alla fonte a titolo d’imposta pari al 23 per cento, maggiorata delle imposte addizionali regionali e comunali, ai sensi del succitato articolo 25, comma 1 della legge 13 maggio 1999, n. 133. Anche per tali importi non sussiste l’obbligo di presentare la dichiarazione dei redditi.
Sulle somme che eccedono, invece, i 30.658,28 euro è applicata una ritenuta alla fonte a titolo di acconto del 23 per cento (che corrisponde all’aliquota fissata per il primo scaglione IRPEF), a cui si aggiungono le imposte addizionali regionali e comunali.
Con l’espressione « esercizio diretto di attività sportive dilettantistiche» il legislatore ha voluto ricondurre nel regime agevolativo in argomento ” i compensi corrisposti ai soggetti che partecipano direttamente alla realizzazione della manifestazione sportiva a carattere dilettantistico”.
La disposizione è riferita a tutti quei soggetti le cui prestazioni sono funzionali alla manifestazione sportiva dilettantistica, determinandone, in sostanza, la concreta realizzazione (atleti dilettanti, allenatori, giudici di gara, commissari speciali che durante le gare o manifestazioni, aventi natura dilettantistica, devono visionare o giudicare l’operato degli arbitri) ivi compresi coloro che nell’ambito e per effetto delle funzioni di rappresentanza dell’associazione (figure dirigenziali) di norma presenziano all’evento sportivo consentendone, di fatto, il regolare svolgimento.
Nelle parole “esercizio diretto di attività sportive dilettantistiche” sono ricomprese la formazione, la didattica, la preparazione e l’assistenza all’attività sportiva dilettantistica.
In altri termini, il regime di favore trova applicazione anche nei confronti di soggetti che svolgono le attività di formazione, didattica, preparazione e assistenza all’attività sportiva dilettantistica, ossia di soggetti che non svolgono un’attività durante la manifestazione, ma rendono le prestazioni indicate – formazione, didattica, preparazione e assistenza all’attività sportiva dilettantistica – a prescindere dalla realizzazione di una manifestazione sportiva.
Ciò comporta che l’intervento normativo ha ampliato non solo il novero delle prestazioni riconducibili nell’ambito dell’esercizio diretto di attività sportive dilettantistiche ma anche quello dei soggetti destinatari del regime di favore eliminando, di fatto, il requisito del collegamento fra l’attività resa dal percipiente e l’effettuazione della manifestazione sportiva.
Alla luce della normativa vigente, appare chiaro che l’applicazione della norma agevolativa che riconduce tra i redditi diversi le indennità erogate ai collaboratori è consentita solo al verificarsi delle seguenti condizioni:
1 – che l’associazione/società sportiva dilettantistica sia regolarmente riconosciuta dal CONI attraverso l’iscrizione nel registro delle società sportive;
2 – che il soggetto percettore svolga mansioni rientranti, sulla base dei regolamenti e delle indicazioni fornite dalle singole federazioni, tra quelle necessarie per lo svolgimento delle attività sportivo-dilettantistiche, così come regolamentate dalle singole federazioni.”.
In base a quanto sinora esposto, nel caso di una società iscritta al Registro delle società sportive, che le somme che la Società corrisponde ai propri collaboratori per lo svolgimento diretto delle discipline sportive dalla stessa organizzate, sia per prestazioni in ambito didattico (sportivo) che per l’assistenza alle atlete in occasione di allenamenti e di competizioni, possano essere ricondotte alla previsione normativa di cui alla lettera m), comma 1, dell’articolo 67 del TUIR a condizione, altresì, che le mansioni da questi svolte rientrino tra quelle indicate come necessarie per lo svolgimento delle attività sportivo-dilettantistiche dai regolamenti e dalle indicazioni fornite dalla Federazione italiana pallavolo.

Compensi corrisposti da ASD ad addetti a mansioni di custodia e pulizia


Forniti chiarimenti sui compensi corrisposti da ASD ad addetti a mansioni di custodia e pulizia della struttura sportiva (Agenzia delle entrate – Risposta 12 aprile 2022, n. 189).

Nel caso di specie, l’Associazione Sportiva Dilettantistica, “riconosciuta dal CONI”, affiliata a una Federazione sportiva, eroga compensi “dilettantistici” a una pluralità di soggetti tra cui atleti, allenatori, massaggiatori, istruttori, dirigenti, amministratori.
Nell’ambito della candidatura alla gestione del palazzetto dello sport, oggetto di procedura di gara pubblica, l’ASD Istante intende valutare l’impatto delle somme che deve erogare al personale che si occuperà delle mansioni di custodia e pulizia del palazzetto, cura del giardino del palazzetto, servizi per cui l’ente appaltante prevede la gestione in capo all’appaltatore.
L’Istante chiede se le figure che esercitano le mansioni descritte possano essere inquadrate tra quelle che svolgono esercizio diretto di attività sportive dilettantistiche e se, pertanto, le somme erogate nei loro riguardi rientrino tra quelle che generano per i percipienti redditi diversi ai sensi dell’articolo 67, comma 1, lettera m), del TUIR.

Con riguardo alla qualificazione dei compensi da corrispondere ai custodi, agli addetti al giardino del palazzetto e agli addetti alle pulizie, le prestazioni descritte non sembrano strettamente connesse e necessarie allo svolgimento delle attività sportivo-dilettantistiche dell’ASD Istante, apparendo piuttosto collegate all’assunzione di un obbligo personale diverso da quello derivante dal vincolo associativo. In linea con i più recenti orientamenti della giurisprudenza di legittimità (cfr., fra le altre, Corte di Cassazione nella sentenza n. 41467 del 24 12.21), ferma restando la verifica delle altre condizioni quali, tra l’altro, che il percipiente non svolga l’attività con carattere di professionalità, la sussistenza del requisito che la prestazione non sia collegata all’assunzione di un obbligo personale diverso da quello derivante dal vincolo associativo determina la possibilità di applicare la disposizione di cui all’articolo 67, comma 1, lettera m), del TUIR.
L’Agenzia ritiene pertanto che i compensi che essa intende corrispondere ai custodi, agli addetti al giardino del palazzetto e agli addetti alle pulizie non siano riconducibili alla previsione normativa di cui all’articolo 67, comma 1, lettera m), del TUIR.


 

Iva ridotta per gli scatti d’autore


Prevista l’aliquota Iva al 10% per le cessioni di fotografie considerate oggetti d’arte eseguite da un professionista che ha provveduto alla loro tiratura e numerazione nei limiti di trenta esemplari di qualsiasi formato e supporto. È prevista invece l’aliquota ordinaria per il servizio omnicomprensivo di foto, video e con l’eventuale presenza di ulteriori operatori (Agenzia Entrate – risposta 12 aprile 2022, n. 188).

Il numero 127- septiesdecies) della Tabella A, Parte III, allegata D.P.R. n. 633/1972 prevede l’applicazione dell’aliquota IVA ridotta del 10% alle cessioni di oggetti d’arte, di antiquariato, da collezione, importati; oggetti d’arte ceduti dagli autori, dai loro eredi o legatari.
Rientrano tra gli oggetti d’arte le fotografie eseguite dell’artista, tirate da lui stesso o sotto il suo controllo, firmate e numerate nei limiti di trenta esemplari, di qualsiasi formato e supporto.
A riguardo, la direttiva Iva tratta le fotografie come oggetti d’arte mediante criteri oggettivi che sono, in sostanza, relativi all’identità e alla qualità dell’autore della fotografia, alla modalità di tiratura, alla firma, alla numerazione e alla limitazione del numero di esemplari. Tali criteri sono sufficienti per garantire che l’applicazione dell’aliquota IVA ridotta alle sole fotografie che soddisfano i criteri medesimi costituisce l’eccezione rispetto all’applicazione dell’aliquota normale a qualsiasi altra fotografia.
Per essere considerate oggetti d’arte che possono beneficiare dell’aliquota ridotta dell’imposta sul valore aggiunto (IVA), le fotografie devono essere eseguite dal loro autore, tirate da lui o sotto controllo, firmate e numerate nei limiti di trenta esemplari, ad esclusione di qualsiasi altro criterio, in particolare la valutazione, da parte dell’amministrazione tributaria nazionale competente, del loro carattere artistico.
Qualora invece venga fornito un servizio omnicomprensivo, ad esempio, di foto, video e anche dell’eventuale presenza di ulteriori operatori, detta prestazione sarà assoggettata all’aliquota IVA ordinaria.


Chiarimenti sull’ordinamento contabile degli ETS


A seguito dell’avvio dell’operatività del Registro unico nazionale del Terzo settore (RUNTS), il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, con la nota del 5 aprile 2022, n. 5941, ha fornito chiarimenti e indicazioni operative relativamente ad alcune questioni applicative in ordine all’articolo 13 del d.lgs. n. 117/2017 (Codice del Terzo settore), sia con riguardo agli enti che conseguono ex novo l’iscrizione al RUNTS, sia con riguardo alle ODV e alle APS, attualmente coinvolte nel procedimento di verifica della sussistenza dei requisiti per l’iscrizione al RUNTS medesimo, successivo al processo di trasmigrazione, ai sensi dell’articolo 54, commi 1 e 2 del Codice.

Per i nuovi soggetti iscritti al RUNTS, diversi dagli ETS di diritto transitorio (ODV, APS e ONLUS iscritte nei rispettivi, preesistenti registri), l’obbligo di adozione dei modelli di bilancio definiti con il D.M. n. 39/2020 si configura soltanto in seguito all’avvenuta iscrizione. Per detti enti, qualora esercitanti l’attività da uno o più esercizi, grava comunque l’obbligo di allegare alla domanda di iscrizione l’ultimo o gli ultimi due bilanci consuntivi approvati, unitamente alle copie dei verbali assembleari contenenti la delibera di approvazione (art. 8, co. 5, lett. c) D.M. n. 106/2020). Tali bilanci, in quanto redatti antecedentemente alla qualificazione dell’ente quale ETS e quindi del suo assoggettamento alle disposizioni del Codice e della relativa disciplina attuativa, non devono essere conformi ai modelli individuati nel D.M. n. 39/2020. Resta naturalmente aperta la possibilità che l’ente, per sua libera scelta, ancor prima di conseguire l’iscrizione al RUNTS, abbia deciso di conformare il proprio bilancio al modello recato dal già citato D.M. n. 39/2020. Chiarito che per gli enti di nuova iscrizione l’obbligo di attenersi agli schemi ministeriali sorge soltanto a partire dall’esercizio finanziario nel quale l’ente medesimo ha conseguito l’iscrizione al RUNTS, anche con riferimento a tutti i casi in cui tale iscrizione sia avvenuta in corso d’anno, si può configurare una deroga a tale vincolo soltanto nel caso di iscrizione conseguita nell’ultimo trimestre dell’esercizio finanziario (coincidente con l’ultimo trimestre dell’anno solare, nel caso in cui l’esercizio finanziario si identifichi con l’anno solare), in coerenza con l’orientamento espresso nella ministeriale n. 5176 del 16 aprile 2021, concernente i profili temporali dell’obbligo di redazione del bilancio sociale. Sovviene al riguardo prevalentemente l’esigenza di non gravare l’ente di un sovraccarico di oneri amministrativi – sproporzionato rispetto alla perseguita omogeneità del fine informativo – che deriverebbero dall’applicazione retroattiva degli schemi di bilancio alla parte preponderante dell’esercizio finanziario, nella quale l’ente non era qualificabile come ETS.
Per le medesime motivazioni, gli enti neocostituiti, che non esercitavano attività prima dell’iscrizione al RUNTS, qualora la relativa costituzione avvenga nell’ultimo trimestre dell’esercizio finanziario, possono redigere un unico bilancio d’esercizio comprendente il periodo temporale delle operazioni che intercorrono tra la data dell’iscrizione e la chiusura dell’esercizio finanziario e le operazioni dell’esercizio finanziario annuale successivo. Naturalmente non vi è necessità di ricorrere alla deroga qualora l’ente, ancor prima di iscriversi al RUNTS, abbia volontariamente adottato gli schemi di bilancio di cui al D.M. n. 39/2020.
Il profilo temporale viene altresì in rilievo nel caso degli ETS il cui esercizio finanziario non coincide con l’anno solare (come ad esempio avviene per gli enti il cui esercizio decorre dal 1° settembre): orbene, alla luce del dettato dell’articolo 3 del D.M. n. 39/2020, in tema di efficacia delle disposizioni contenute nel medesimo decreto, nell’esempio sopra riportato, l’ETS deve predisporre il primo bilancio conforme alla modulistica al 31 agosto 2021, poiché l’inizio del proprio esercizio (1°settembre 2020) è successivo alla data di pubblicazione del D.M. n. 39/2020, avvenuta, come già ricordato, in data 18 aprile 2020.
L’avvio, a partire dallo scorso 22 febbraio, dei procedimenti di verifica post – trasmigrazione riguardanti le ODV e le APS iscritte nei preesistenti registri di settore è destinato ad impattare sull’effettiva agibilità dell’adempimento dell’obbligo di deposito presso il RUNTS del bilancio d’esercizio o del rendiconto per cassa, che ai sensi dell’articolo 48, comma 3 del codice, deve avvenire entro il 30 giugno di ogni anno. Nell’attuale fase di prima applicazione, poiché il perfezionamento dell’iscrizione nel RUNTS, all’esito delle verifiche di cui al già citato articolo 54, comma 2 del Codice, di numerose ODV e APS si concluderà verosimilmente dopo tale data, si deve escludere in via generale l’esigibilità di tale adempimento entro la data del 30 giugno 2022. Tuttavia, poiché il bilancio 2021 contiene informazioni potenzialmente rilevanti ai fini della verifica della sussistenza di talune condizioni poste dal Codice, ed in considerazione del contributo che il deposito del bilancio fornisce alla concreta applicazione del principio di trasparenza, è necessario che tutte le ODV e le APS coinvolte in tali procedimenti effettuino il deposito del bilancio 2021, successivamente all’iscrizione al RUNTS, con l’opportuna sollecitudine, entro 90 giorni dalla predetta iscrizione. Qualora il competente ufficio del RUNTS dovesse rilevare il mancato deposito, esso potrà avviare il procedimento di cui all’articolo 48, comma 4 del Codice, assegnando un termine, di carattere perentorio, entro il quale l’ente dovrà provvedere all’adempimento in questione, incorrendo, in caso di mancato adempimento, nella cancellazione dal Registro.
Il richiamato principio di trasparenza sorregge altresì il deposito dei bilanci delle ONLUS che hanno conseguito l’iscrizione al RUNTS secondo la procedura declinata nell’articolo 34 del D.M. n. 106/2020. Pertanto, qualora il bilancio 2021 non rientri tra quelli allegati alla domanda di iscrizione presentata entro il corrente anno (nel qual caso la pubblicazione sarà effettuata direttamente dall’ufficio) il deposito dello stesso potrà essere effettuato a cura dell’ente entro 90 giorni dall’iscrizione.
Analoghe considerazioni devono essere sviluppate relativamente al deposito presso il RUNTS del bilancio sociale, per gli ETS tenuti alla redazione di tale documento ai sensi dell’articolo 14, comma 1 del Codice: in questo caso, si deve considerare già cogente l’obbligo di pubblicazione del bilancio sociale 2021 sul sito internet dell’ETS ( o, in alternativa, qualora l’ETS non disponga di un proprio sito internet, su quello della rete associativa cui esso aderisce, secondo quanto previsto dal § 7 del D.M. n. 75 del 4 luglio 2019) entro la prescritta data del 30 giugno 2022. Tale obbligo riguarda anche le ONLUS, secondo quanto già espresso nella nota di questa Direzione n. 11029 del 3 agosto 2021.


IRAP: regime opzionale e dichiarazioni integrative


In materia di IRAP, forniti chiarimenti sulla fruizione di un regime opzionale per gli anni pregressi e la presentazione di dichiarazioni integrative (Agenzia delle entrate – Risposta 08 aprile 2022, n. 187).

Nel caso di specie, l’ente istante afferma di avere determinato l’IRAP, per i periodi d’imposta anteriori al 2016, avvalendosi dell’opzione per il metodo c.d. “commerciale”, prevista dall’articolo 10- bis, comma 2, del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, vista la presenza di personale comunale impiegato – al 100% o promiscuamente – anche in servizi rilevanti ai fini IVA. Detta opzione ha consentito un notevole risparmio d’imposta, dato che i conti economici aggregati relativi alle attività considerate commerciali sono risultati sempre in perdita.
A decorrere dal mese di febbraio del 2016 – con effetto dalle retribuzioni del mese di gennaio – in seguito all’adozione di un nuovo gestionale, l’istante ha iniziato a versare l’IRAP sulle retribuzioni di tutti i dipendenti senza tener conto delle percentuali del personale impiegato nei servizi commerciali, e senza più predisporre il conto economico aggregato delle attività commerciali.
L’istante riferisce che la “nuova” modalità di determinazione dell’IRAP è stata «determinata dal cambio di gestionale informatico e da un’errata presunzione circa le potenzialità del nuovo sistema», e non da una precisa volontà di revocare l’opzione o dal venir meno dei presupposti per l’utilizzo del metodo c.d. “commerciale”, non essendoci stati mutamenti nei servizi commerciali resi all’utenza e nei risultati di conto economico, caratterizzati da una costante perdita.
Ciò detto, l’istante chiede se sia possibile recuperare l’IRAP versata in misura superiore – in applicazione del metodo c.d. “retributivo” – presentando, entro il 21 dicembre 2022, una dichiarazione integrativa a favore, ex articolo 2, comma 8, del decreto del Presidente della Repubblica 22 luglio 1998, per ciascun periodo d’imposta dal 2016 al 2019.

Nel caso sopra esposto, l’adozione – a partire dal 2016 – del metodo retributivo anche per le attività commerciali (e, conseguentemente, la revoca del metodo commerciale) non sembra essere stata determinata esclusivamente dall’errata funzionalità del “nuovo sistema gestionale”, avendo l’istante scelto di versare gli acconti (rilevatori dell’esercizio dell’opzione), di omettere la predisposizione del conto economico aggregato delle attività commerciali, di presentare le dichiarazioni annuali IRAP in conformità con il metodo scelto, adottando, quindi, un “comportamento concludente” per ben quattro periodi d’imposta, ovvero fino alla nuova opzione esercitata solo nel 2020.
L’Agenzia non ravvisa, dunque, alcun “errore” da rettificare, ma solo una scelta per un metodo di calcolo dell’imposta che ora si vuole modificare, rispetto alla quale non è consentito il ricorso alla dichiarazione integrativa, destinata alla correzione di errori od omissioni, compresi quelli che abbiano determinato l’indicazione di un maggiore o di un minore imponibile o, comunque, di un maggiore o di un minore debito d’imposta ovvero di un maggiore o di un minore credito.
A tal riguardo, con la risoluzione n. 325/E del 14 ottobre 2002, è già stato chiarito che le opzioni « anche se inserite in manifestazioni non dispositive o, per usare un termine comune in dottrina in “dichiarazioni di scienza” quali le dichiarazioni dei redditi, al pari di qualsiasi altra manifestazione di volontà negoziale non possono essere “rettificate” che in presenza di dolo, violenza o errore.
In particolare l’errore, quale vizio della volontà, deve possedere i requisiti della rilevanza e dell’essenzialità e non deve cadere sui “motivi” della scelta, vale a dire sulle mere finalità che hanno indotto il contribuente a porre in essere un determinato comportamento.».
La dichiarazione integrativa è, quindi, finalizzata a correggere errori od omissioni nell’indicazione di elementi funzionali alla determinazione del reddito imponibile e non anche a modificare scelte più o meno favorevoli; non essendo ammissibile la presentazione di una dichiarazione integrativa per ripensare una scelta rivelatasi a posteriori sfavorevole, non ravvisandosi, in tale ipotesi, un vizio della volontà determinato dalla presenza di un errore grave ed essenziale.


 

Redditi prodotti in remote working inclusi nel regime impatriati


Possono rientrare nel regime dei lavoratori impatriati di cui all’art. 16, D.Lgs. n. 147/2015 i redditi di lavoro dipendente prodotti in Italia in modalità remote working a decorrere dal periodo d’imposta 2022 a condizione che venga trasferita la residenza fiscale in Italia e per i successivi quattro periodi di imposta (Agenzia Entrate – risposta 08 aprile 2022, n. 186).

Il regime speciale dei lavoratori impatriati è disciplinato dall’art. 16, D.Lgs. n. 147/2015 e per accedere è necessario che il lavoratore:
– trasferisca la residenza in Italia;
– non sia stato residente in Italia nei due periodi d’imposta antecedenti al trasferimento e si impegni a risiedere in Italia per almeno 2 anni;
– svolga l’attività lavorativa prevalentemente nel territorio italiano.


Sono destinatari del beneficio fiscale, inoltre, i cittadini dell’Unione europea o di uno Stato extra UE con il quale risulti in vigore una Convenzione contro le doppie imposizioni o un accordo sullo scambio di informazioni in materia fiscale che:
– sono in possesso di un titolo di laurea e abbiano svolto “continuativamente” un’attività di lavoro dipendente, di lavoro autonomo o di impresa fuori dall’Italia negli ultimi 24 mesi o più, ovvero
– abbiano svolto “continuativamente” un’attività di studio fuori dall’Italia negli ultimi 24 mesi o più, conseguendo un titolo di laurea o una specializzazione post lauream.


L’agevolazione è fruibile dai contribuenti per un quinquennio a decorrere dal periodo di imposta in cui trasferiscono la residenza fiscale in Italia, ai sensi dell’articolo 2 del TUIR, e per i quattro periodi di imposta successivi.
Per accedere al regime speciale, è necessario, inoltre, che il soggetto non sia stato residente in Italia per due periodi di imposta precedenti il rientro.


In relazione al caso di specie, con la circolare n. 33/E del 2020 l’Agenzia delle Entrate ha avuto modo di chiarire che l’accesso all’agevolazione non richiede che l’attività sia svolta per un’impresa operante sul territorio dello Stato. Pertanto, possono accedere all’agevolazione i soggetti che vengono a svolgere in Italia attività di lavoro alle dipendenze di un datore di lavoro con sede all’estero, o i cui committenti, in caso di lavoro autonomo o di impresa, siano stranieri non residenti.


L’applicazione del regime agevolativo richiede però che l’attività lavorativa sia prestata prevalentemente nel territorio italiano.


Ciò non esclude che l’accesso al regime speciale per i lavoratori impatriati sia ammesso anche per i lavoratori che trasferiscono la residenza fiscale in Italia per proseguire, in modalità da remoto, l’attività lavorativa resa a beneficio del proprio datore di lavoro estero in virtù di un preesistente contratto di lavoro dipendente, a nulla rilevando la circostanza che durante gli ultimi due periodi d’imposta antecedenti il trasferimento in Italia l’attività lavorativa sia stata svolta in distacco presso una sede estera diversa dalla sede principale e che, anche attraverso tale modalità, venga esercitato il proprio ruolo apicale.